“Quer pasticciaccio brutto d’er preciso”
Canto I
Non se capisce er Papa com’ha fatto
de fa’ difenne’ tutto er Vaticano
da chi discenne da quer mezzo matto
che, strappata la mela dalla mano
der fijoletto, je la mise ‘n testa,
compienno pe’ noi tutti… ‘n atto strano.
Disse: «Venite, montanari, alla gran festa»…
stanno ritto s’un sasso, quell’omone
che tese l’arco con la freccia lesta.
«Ve vojo dimostra’ che ‘sto cojone
mettenno er frutto in capo de su’ fijo
je lo spappolerà com’un melone.
E se da cento metri nun ce pijo,
‘sto pazzo con er nome de ‘n infermo
non sarà più ‘n gorilla ma ‘n conijo.»
Con questa presunzione, l’uom di marmo
lasciò quel dardo in men che non si dica
verso quel frutto sullo capo fermo.
Canto II
Eccote che, con voce assai pudica,
la madre corse verso er regazzino,
dicenno ar pazzo: «Dio te maledica!»
E mentre ch’insurtava quer cretino,
s’accorse che, strignendoselo ar petto,
nun era er fijo suo ma… ‘n manichino.
Se stette zitta, e poi con circospetto
scappò con quer pupazzo tra le braccia…
tanto pe’ non lascia’ quarche sospetto.
Der fijo vero non ce ne fu traccia…
anche perché quei due non procreorno
così come la Storia ce rinfaccia.
Così, con l’avambraccio teso e porno,
er pazzo salutò i connazionali
senza l’alloro sullo capo adorno.
Canto III
Le genti, molto più che cantonali,
non fecero al preciso tanti elogi,
ma con pernacchie e rumoracci anali
ritornorno a li monti mogi mogi.
E pensanno alla pazza precisione,
decisero de fa’ sveje e ‘rologi
con sopra scritta grossa l’incisione:
Er monno sa che noi semo precisi
grazie alla freccia de… quell’imbroglione.
«Se pe’ la libertà semo narcisi,
l’usura delle banche è proverbiale.
Pe’ la droga, de certo, semo decisi:
la damo a tutti anche se fa male,
se la magnamo a pranzo e all’imbrunire,
bevennoce la birra nel pitale.»
Canto IV
Così continuorno a progredire
in quella terra farza e controversa,
pensanno solamente a franchi e lire.
«O come avria voluto che diversa
fosse stata la scena raccontata,
così come la fiaba c’ha concessa…»
E mentre che la donna… poco amata
se preoccupava pe’ quella figuraccia
fatta dal ciarlatano in quella data,
così quello da cul simile a faccia
cercava de trova’ ‘na soluzione
p’avvelena’ con dolo la po’raccia.
Tanto che pe’ nasconne l’intenzione
disse che era la moje che voleva
accollasse l’estrema decisione.
Canto V
Si presentò così, mentre pioveva,
una scena pietosa e disumana,
tanto che chi è normal tosto piangeva.
E come srotolando il fil di lana,
la vecchia Parca, brutta e senza denti,
finir facea la nostra vita umana,
così si comportò in quei momenti
quell’omo, detto pur muso d’avorio,
facennoce poi dopo… li commenti.
Non ve dico la scena der mortorio,
con le candele rosa già appicciate
dentro la stanza di quel… refettorio.
Mentre che le persone assai ‘mpicciate,
vestite proprio per la circostanza,
sparavano le solite… cazzate.
Canto VI
E dopo ave’ riempito la gran panza,
parlato della strana loro sorte
così come se fa pe’ circostanza,
ecco che l’orazione della morte
tosto fu fatta da quel gran signore,
più boja, della moje, che consorte.
E come sua abbitudine, il priore
usò il linguaggio delle conferenze,
con toni bassi, pause e gran dolore,
tanto per acchiappa’ dell’incombenze
da quel popolo idiota che voleva
sentisse racconta’… tante scemenze.
Canto VII
Così, fra puttanate che diceva,
Lucrezio er boja detto pur Tellino
compì quel desiderio… che sapeva.
Preparò li bicchieri, un po’ de vino,
quattro candele accese sulla porta,
un tavolo a tre zampe con triclino.
Poi fece accomodare la già morta,
chiamò ‘n’amica co’ ‘na zampa rotta
ed altre tre gran fije… de ‘na risorta.
Quella, che ‘n s’aspettava quella botta,
tirò allo yeti, pur coccia de morto,
con forza, ‘na ciavatta mezza rotta.
E disse: «Tu c’hai tradito, tu c’hai torto…
che pe’ nasconne’ quella gran bujia
me fai l’infuso con… l’erba dell’orto.»
Canto VIII
Il sole se ne stava a scappa’ via,
facenno a sconnarella tra li monti
de quella terra ch’è… ‘na rubberia.
E vestiti de nero, come conti,
con la bombetta in testa e neri occhiali,
il passo appesantito, da bisonti,
bussorono alla porta quei maiali,
col bastone argentato, due, tre vorte,
non certo affatto… onesti, ma venali.
Se alle cinque de sera er toro sòrte,
preciso, in quella piazza rinomata,
sicuro d’affrontar la propria morte,
così si presentò la disgraziata
a quelli là, nomati schiattamuorti
nel bel paese della tammurriata.
Canto IX
La precisione de quei beccamorti
non fu sgarrata manco d’un secondo,
specie quanno se tratta de consorti.
Angeli della morte… per il mondo,
venivan detti quelli screanzati
dal culo più quadrato che rotondo.
E con lo sguardo de l’indemoniati
tirorno fora prima… ‘n’aranciata
p’allevia’ i dolori all’ammalati;
l’offrirno alla signora che, sdraiata,
se la sgargarozzò tutta d’un fiato,
seguita da ‘n pezzetto de crostata.
Uno de quelli, pare il più sfigato,
se preoccupò de faje beve’ er fonno,
mentre quell’altro, sempre più ‘ngessato,
aggiungeva al bicchiere, alto e tonno,
forse cianuro oppure la cicuta…
tanto pe’ faje prima pija’ sonno.
Canto X
A questo punto, se non sei svenuta,
tu che leggendo vai questa storiaccia
non sei persona umana ma… cornuta.
Er viso cominciò, della po’raccia,
a svirgolasse come fa la plastica
quanno se brucia assieme la cartaccia.
La pelle, se pur flaccida ma elastica,
se raggrinzò, che, ‘ncartapecorita,
belva affamata tanto mai non mastica.
Venti minuti c’ebbe ancor de vita,
dopo d’ave’ bevuto l’aranciata
da lei pe’ niente affatto… digerita.
Disse: «Come ve devo di’ che so’ ‘ncazzata?»
Ed assumendo un’espression sconvolta
mandò affanculo quella collegiata
che col suo fare, molto disinvolta,
sentenziò che «…bevenno la spremuta
saria stata la prima e final volta.»
Canto XI
E prima ch’il veleno avesse fatto
quello che normalmente… deve fare,
dietro la spinta de quer tutto matto
scerze li panni che dovea vestire,
così che con le zampe già stirate
pronta sarebbe stata per morire
in quella bara che già fatta entrare
nella stanza ‘sì buia quella sera,
piena di pioggia, vento e balenare.
E mentre ch’il suo corpo, già di cera,
assumeva sembianze assai più corte
aggravando di più l’atmosfera,
dai frati si recava quel… consorte,
onde pregando tanto Paolo I
allontanata j’avria la dura sorte.
Canto XII
Mo, facenno con rispetto pur’er mimo
der Papa che morì… rapidamente,
tanto che più de l’artri lodo e stimo,
me permetto d’entra’ nella sua mente
onde capir, per certo, la risposta
ch’avria voluto da’ a quer demente.
La prima cosa ch’egli fece apposta,
in quel paradisiaco Vaticano,
fu quella de fa’ ‘n salto giù la posta
per spedire de corsa a quell’umano
un telegramma breve, assai conciso,
senza spreca’ tante parole invano.
L’indirizzò… «Dar Papa a quer preciso
ch’avenno combinato ‘sto papocchio
verrà da tutti quanti più deriso.»
Canto XIII
E fatto sali’ ‘n angelo sul cocchio,
lo pregò d’atterrare piano piano
e di sputo colmare il sinistr’occhio
di quello che, seduto sul divano
nella casa di campagna in via strapazzo,
diceva d’esser crucco e non romano,
con le sembianze, per lo contappazzo,
lui che diceva d’esser intelligente,
non d’una testa d’uomo ma… di cazzo.
A quel comando di sì referente,
pensando, il messaggero, all’occhio umano,
punto sicuro e dritto giù a ponente.
E bussanno alla porta con la mano,
l’angelo, variopinto e luccicante,
fu ricevuto da quell’omo… strano.
Canto XIV
Appena vide l’agnolo viandante,
aprenno quella porta mezzo nudo,
con addosso soltanto le mutande,
l’arcere armase, fermo più che muto,
pensanno ch’il miracolo richiesto
quer Papa je l’avrebbe mantenuto.
Invece, assai ‘ncazzato e con far lesto,
l’angelo piegar fece quel Pinocchio,
con su la mano destra… un manifesto.
E costrettolo a stare giù in ginocchio,
con la faccia rivolta verso l’alto,
je scatarrò con forza dentro l’occhio.
Quindi, spiccanno il volo con un salto,
ritornò da quer Papa, in Paradiso,
che per l’azione venne fatto santo.
Canto XV
Adesso s’aspettava che, risorti
li corpi de quell’anime perbene,
a men facesser puro dei conforti.
Mentr’io, che certo d’altri nulla teme,
dedico alla po’raccia, ch’è coerente,
questa raccolta tragica di pene
ch’ella provò, specie ultimamente.
Onde non sopportar la malvagìa,
voll’affrontar la morte solamente.
E come quei beati in lattea via,
con alla testa er Papa maltrattato,
costrinsero la donna, che ‘n volia,
a cantare il Te Deum raffinato,
in Vatican, per contro, quei guerrieri,
con il Die krukken über alles stonato,
riempirono de birra li bicchieri,
brindando alla salute del Tellino,
che col capo assentì… senza pensieri.
Canto XVI
E usciti dalla porta del Guercino,
entrorno in quella piazza di San Pietro
salendo da Sant’Anna… lo scalino.
Ed un per uno, visti da di dietro,
come la foto che quel sor Roberto
fece a quei regazzini anni addietro,
occuporno, del porticato tutt’aperto,
quelle di travertin fatte colonne,
a semicerchio messe con effetto.
Così che questi lürki, sempre a lonne,
sulle zampe oscillanti, a man conserte,
annaffiorno le pietre alte e tonne.
Ma ‘n cane, richiamato dalle feste,
seguì le tracce de lo falso arciere,
colmandolo d’urina… e d’altre peste.